Biografilm Festival 2020. Contemporary lives. Self portrait (Selvportrett) di Katja Hogset, Margreth Olin e Espen Wallin.

di EMILIANO BAGLIO 12/06/2020 ARTE E SPETTACOLO
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Lene Marie Fossen ha smesso di nutrirsi regolarmente all’età di dieci anni.

È morta a soli 33 anni, di arresto cardiaco, a causa della sua anoressia nervosa, una malattia dall’altissima percentuale di mortalità.

Prima di spegnersi, però, insieme alla sua famiglia è riuscita a vedere il documentario che la vede protagonista ed ha lasciato agli autori il compito di farlo vedere a quante più persone fosse possibile.

Lene Marie Fosse però non era solo una persona gravemente malata, era soprattutto una delle migliori fotografe del mondo.

Ci ha lasciato alcuni dei ritratti e degli autoritratti più belli di quest’arte.

Self portrait quindi, è innanzitutto, un omaggio al suo straordinario talento.

Come giustamente nota, ad un certo punto del film, il famoso fotografo Morten Krogvold, nelle opere della Fossen rivivono tanto echi della pittura di Caravaggio quanto dell’estetica di Tarkovskij.

Il Biografilm Festival ci propone dunque, come ne La pallina sulla conca (http://www.euroroma.net/9075/ARTEESPETTACOLO/biografilm-festival-2020-biografilm-italia-la-pallina-sulla-conca-a-marble-on-a-dell-di-francesca-iandiorio.html), un’ulteriore riflessione sul rapporto tra malattia ed arte.

Al centro dell’opera di questa straordinaria artista ci sono soprattutto i volti ed i paesaggi della sua amatissima Grecia, compresi i volti dei bambini ritratti durante la crisi dei rifugiati a Lesbo nel 2012.

Ma, soprattutto, Lene Fossen mette in scena sé stessa ed il suo spaventoso corpo scheletrico martoriato dall’anoressia.

La fotografia diventa l’unico modo per sentirsi viva ed affrontare la propria malattia ed i traumi psicologici che ne sono alla base.

L’anoressia, infatti, in questo caso si è manifestata sin dall’infanzia ed ha quasi conciso con la paura di crescere.

Ciò ha portato la Fossen ad un percorso di ospedalizzazione forzata che l’artista ha vissuto come una costrizione sul suo corpo ed i suoi desideri.

Come ricorda lei stessa, per lunghissimo tempo, nessuno le ha mai chiesto cosa volesse.

Lasciata presto sola alle cure della famiglia, Lene Fossen ha vissuto l’esperienza dell’ospedale in tenera età come un rigido sistema di premi e punizioni in relazione a quanto si nutrisse, senza che, sostanzialmente, nessuno si occupasse della sua condizione psicologica.

L’unica ancora di salvezza le è giunta dall’arte.

Proprio così è nata l’idea di questo film.

Self portrait vuole dunque essere una doppia testimonianza.

Quella sull’eredità lasciata da un grandissimo talento puro e quello su di una malattia sostanzialmente ignorata, trattata, come spiega lei stessa, come un vizio snob, come una colpa; ignorata dalla società e dai medici.

 

EMILIANO BAGLIO


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